Al giorno d’oggi fare pubblicità diventa sempre più complicato. Gli utenti sono bombardati da moltissimi messaggi ed è difficile catturare l’attenzione. Per questo è stato creato il Native Advertising, un modo per sponsorizzare prodotti o servizi più utile e proficuo.

Si tratta di una campagna promossa e visualizzata all’interno dei contenuti offerti al lettori. Se la pubblicità tradizionale ha l’obiettivo di “distrarre” chi legge per comunicare il suo messaggio, la Native Advertising ha invece lo scopo di “immergersi” all’interno del contesto, senza interrompere gli utenti. Il fine ultimo è aumentare il tasso di engagement. Così la pubblicità diviene parte dei contenuti fruiti dagli utenti perché coerente con la piattaforma in cui è ospitata. I potenziali clienti percepiscono il messaggio come parte dell’ambiente che stanno visitando spontaneamente, come un sito web o un social network.

Perché usarlo

Il motivo principale per cui preferire il Native Advertising alla pubblicità tradizionale è la recente diffusione della cosiddetta “banner blindness” (letteralmente “cecità da banner”). Coloro che sono abituati a navigare su Internet identificano facilmente gli spazi pubblicitari. La sempre maggiore conoscenza dello strumento permette loro di sviluppare una sorta di indifferenza nei confronti della pubblicità, rendendola completamente inefficace. L’interruzione del messaggio con uno slogan che spinge al puro e semplice acquisto non ha futuro sul web. Servono dunque ai brand nuovi modi per stimolare l’interesse del target di clientela.

Il Native Advertising supera questo ostacolo, immergendo il contenuto sponsorizzato all’interno del contenuto editoriale. L’azienda si fa trovare dal potenziale cliente nel momento in cui lui ne ha bisogno. Dunque pur facendosi riconoscere come pubblicità, questo tipo di advertising si confonde con gli altri contenuti per non interrompere il lettore, ma attirarlo. E questa tecnica funziona benissimo, lo dimostrano i numeri: gli annunci nativi vengono visti il 53% in più degli annunci visualizzati e l’intento di acquisto cresce del 18%. Ma affinché tale strategia sia efficace è necessario che l’approccio comunicativo sia coerente con il contesto in cui essa viene inserita, modulando tono e stile, che devono integrarsi armoniosamente all’ambiente. Così non vorrà percepita come un’intrusione, un’interruzione, un disturbo.

Native Advertising
Obiettivo del Native Advertising è catturare l’attenzione del lettore

La storia

Ciò di cui stiamo parlando sembra legarsi esclusivamente al web, all’online. Eppure una strategia simile è sempre esistita: il bisogno di inserire contenuti sponsorizzati all’interno di un piano editoriale per ottimizzare il messaggio è una tecnica diffusa da secoli. Già a inizio ‘900 infatti le aziende iniziano a pubblicare articoli sui giornali con un taglio editoriale, sostituiti ai meri messaggi pubblicitari. Questo metodo si sviluppa prima sui quotidiani, poi su altri mezzi come radio e televisione.

Negli anni ’60 e ’70 si decide di abbandonare questa strategia. La pubblicità inizia a essere interruttiva ponendosi in mezzo a film e programmi televisivi. Solo negli ultimi anni si è riscoperto il valore di un advertising nativo: il banner decade lasciando spazio al concetto di contenuto.

I tipi di Native Advertising

Il Native Advertising è una strategia che si può declinare in modi differenti. Tutto dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere. Bisogna scegliere la soluzione adeguata per ottenere il miglior risultato in base al luogo e al momento a cui ci si riferisce. Nel 2013 è stato pubblicato dallo IAB (Internet Advertising Bureau) un documento ufficiale chiamato “Native Advertising Playbook”, che divide questa pratica in sei categorie:

  • In-Feed: le inserzioni vengono inserite nel feed degli aggiornamenti dei social network. Su Instagram, Facebook e Twitter per esempio le pubblicità appaiono come veri e propri post in modo da confondersi con gli altri pur essendo differenziati dal tag promoted.
  • Paid Search: si focalizza l’attenzione sui risultati inseriti nelle query delle pagine dei motori di ricerca. Gli inserzionisti pagano per essere presenti nell’elenco, in una posizione privilegiata. Quando si cerca un argomento di interesse su Google questi contenuti appaiono tra i primi risultati, in armonia con i risultati organici del motore di ricerca ma contraddistinti dall’etichetta “Ann.”.
  • Widget con post raccomandati: sono annunci a pagamento per correlare dei contenuti sponsorizzati a un determinato articolo grazie a un link. Servono per consigliare ulteriori contenuti simili o correlati a quello che è stato letto. Si trova in maniera fluida nel flusso di navigazione e ha come obiettivo il coinvolgimento di chi legge.
  • Promoted listing: si inserisce un contenuto in una lista. Sono dunque avvantaggiati tutti i progetti che creano degli archivi come Amazon o Etsy. Sui siti figurano queste liste con collegamenti alla landing page dell’azienda.
  • In-Ad: simili ai banner, hanno un importante punto di differenziazione, ovvero sono pertinenti con la linea editoriale della piattaforma. Sono inseriti fuori dai contenuti editoriali, sono rilevanti rispetto al contesto.
  • Contenuto personalizzato: è il tipo più conosciuto. Sono i post sponsorizzati. Gli inserzionisti producono un contenuto e un editore mette a disposizione il proprio spazio.

Come farlo

È necessario seguire alcuni punti per creare una campagna di Native Advertising efficace. Anzitutto deve essere “omnichannel” ovvero olistica, multicanale. Dunque deve coinvolgere più piattaforme e dispositivi possibili. DI conseguenza bisogna individuare il miglior formato per ogni contesto, che ha caratteristiche specifiche. Lo stile comunicativo deve essere coerente con l’ambiente che lo ospita, in armonia e non interruttiva.

Inoltre si devono stabilire obiettivi realistici in base alle metriche scelte. Servono per misurare successivamente l’efficacia della pubblicità. Infatti dopo aver svolto tutti questi passaggi la strategia non è da abbandonare, ma da monitorare e ottimizzare continuamente. Studiando e misurando le variabili sarà possibile rendere le campagne ancora più performanti.

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Dopo aver creato una campagna bisogna seguirne i risultati per ottimizzarla

I casi studio

Moltissime aziende di successo hanno già iniziato a utilizzare il Native Advertising e hanno ottenuto risultati incredibili. Alcune addirittura sono diventate casi studio per dimostrare l’efficacia di questo metodo. Prendiamo per esempio Spotify. Ha avuto un’intuizione geniale sfruttando il successo globale della serie tv Netflix Stranger Things.

Le prime puntate hanno sfiorato la vetta dei 20 milioni di spettatori, dunque la piattaforma di streaming musicale ha deciso di abbinare i suoi utenti ai personaggi della serie in base alle loro abitudini di ascolto. Si tratta solo un esempio, ma le occasioni da sfruttare sono moltissime.