Il progetto Pandemic Stain getta una nuova luce sulla pandemia. Una luce inquietante e ultravioletta, che ci permette di “vedere” davvero la malattia, silenziosa e invisibile che cammina inesorabile su ogni cosa.

Pandemic Stain: il progetto e i suoi realizzatori

Marco Casino, fotografo e regista, e Pietro Baroni, laureato in scienze naturali, che lavora con fotografia, video, installazioni e mixed media, sono gli autori di Pandemic Stain. Il loro obiettivo era quello di rendere visibili l’invisibile. Per far capire quanto velocemente possano diffondersi batteri e virus, tutti, compreso il Covid-19. Si annidano ovunque, in tutti gli oggetti di uso quotidiano e noi non possiamo vederli.

Pandemic Stain
Lo smartphone è l’oggetto di uso quotidiano più sporco

Mentre tutti documentavano la pandemia con foto giornalistiche, molto d’effetto, senza dubbio. Che sono anche divenute virali, come l’infermeria che crolla dal sonno dopo un lungo turno di lavoro o un’altra segnata sul viso dalle protezioni, dopo dodici ore di turno in pieno reparto covid. Loro, nel frattempo, hanno deciso di realizzare qualcosa di diverso. Qualcosa che in realtà non è strettamente legato alla pandemia. Perché gli oggetti del nostro quotidiano sono sempre pieni di germi e batteri. Quale è l’oggetto più sporco in assoluto? Lo smartphone.

Eppure se pensiamo che tra quelle tracce biologiche possa celarsi il tanto temuto Covid-19 forse queste fotografie fanno ancora più effetto.

Una luce multi spettro, come CSI o ghostbuster

Queste immagini possono farvi a pensare a CSI o a Ghostbuster, ma i nostri artisti non le hanno utilizzate per immortalare una scena del crimine o un fantasma, ma qualcosa di ancora più infido: virus, batteri, liquidi biologici, muffe.

Pandemic Stain
Treppiedi, filtri ultravioletti, molto lavoro e lunghi tempi di esposizione, per portare alla luce l’invisibile, nei luoghi considerati potenzialmente infettivi

Per scattare queste fotografie ci è voluto tempo e precisione. Diversi secondi di esposizione, treppiedi, filtri colorati.

I fotografi raccontano che, nel loro lavoro, solitamente devono rendersi invisibili, nascondersi tra la flora. Questa volta, invece, è stato tutto il contrario. Si sono presentati sulle scene da immortalare equipaggiati e bardati, perché i luoghi immortalati nei loro scatti erano stati ritenuti dalle autorità sanitarie potenzialmente infettivi.

Pandemic Stain durante il lockdown di marzo-aprile

L’idea di Pandemic Stain prende vita già a Febbraio 2020, quando l’Italia ancora non era in lockdown, ma la situazione iniziava a toccarci da vicino. I due fotografi hanno allora incominciato ad interessarsi alla fotografia con l’ultra violetto, per rivelare le tracce biologiche.

Pandemic Stain
Dopo aver visto queste fotografie gli oggetti di uso comune non ci sembreranno più gli stessi

Ad Aprile 2020, in pieno lockdown, si aggiravano tra i luoghi più infettati di Milano, epicentro della prima ondata italiana di questa pandemia, per scattare le loro fotografie.

Le fotografie non mostrano solo il Covid-19 ma tutte le tracce biologiche. In realtà è impossibile distinguerle con questo metodo. Ma così abbiamo un’idea di come sono realmente le cose che ogni giorno tocchiamo e viviamo.

La raccolta di fotografie realizzate con luce ultravioletta permette di rendere evidenti ad occhio nudo le tracce di liquidi biologici, solitamente trasparenti e, pertanto, di far risaltare le superfici potenzialmente contaminate da virus, batteri o muffe, che possono essere patogene per l’uomo in ambienti di vita quotidiana.

Sono certa che dopo aver avuto occasione di vedere gli oggetti che ci circondano attraverso il filtro dei raggi ultravioletti, la realtà ci apparirà un po’ diversa dalle apparenze, ponendo una maggiore attenzione a dove mettere e soprattutto dove non mettere le mani, soprattutto in assenza di disinfettanti, ormai diventati di uso comune in tutti i momenti quotidiani”.

Pandemic Stain
Il progetto Pandemic Stain è diventato un libro di fotografie

Esperienze dal resto del mondo

Un esperimento simile è stato in Giappone, dove si è mostrato come è facile e veloce infettarsi durante un buffet. Un solo finto untore è arrivato alla festa, con le mani pregne di un liquido fluorescente. Alla fine dell’esperimento si spengono le luci e una lampada a ultravioletti illumina la stanza.

Il liquido è sparso un po’ ovunque, qui e la nella stanza. Sulle pareti, sulle altre persone, sul cibo, anche. I protagonisti dell’esperimento ridono. Ma un sorriso amaro, come di chi non si aspettava questo risultato e ne è rimasto tristemente sorpreso.

Il video è diventato virale. Faceva parte di una campagna di sensibilizzazione. Rispettare le regole ci salva la vita. Il nemico è invisibile, ma quando progetti come Pandemic Stain lo rendono visibile, ci accorgiamo che esiste, che è reale, ed è ovunque.

 


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